Una causa che riguarda il lavoro durante il periodo di malattia ha interessato il Tribunale di Foggia.
Il caso riguardava un lavoratore che si era assentato per malattia nei giorni nei giorni 9 e 10 novembre, inviando poi un secondo certificato di prosecuzione della malattia a copertura dei giorni 11, 12 e 13 novembre.
Durante il periodo di malattia, la società conduceva alcune investigazioni, nel corso delle quali emergeva che il dipendente, nei giorni 10, 11 e 13 novembre, aveva svolto attività lavorativa in un pub gestito dalla moglie.
Ecco quindi la domanda che si è posta il datore di lavoro: è lecito lavorare durante la malattia?
Nel caso di specie, il datore di lavoro si rispondeva di no, e procedeva al licenziamento del dipendente contestando la simulazione dello stato di malattia, l‘inidoneità della stessa a determinare uno stato di incapacità lavorativa, nonché, ove sussistente la malattia, la ripetuta violazione del dovere del lavoratore di non pregiudicare i tempi di rientro al lavoro.
Il dipendente dichiarava che la malattia era stata regolarmente certificata dal proprio medico e che, per mero spirito di collaborazione familiare e in via del tutto eccezionale, il lavoratore acconsentiva ad aiutare sua moglie, precisando che tale attività veniva prestata al di fuori dell’orario di lavoro e senza percepire alcun corrispettivo.
Nel nostro ordinamento non sussiste un divieto assoluto per il dipendente di prestare altra attività, anche a favore di terzi, durante l’assenza per malattia, sicché tale ulteriore attività non integra, di per sé, un inadempimento degli obblighi imposti al prestatore di lavoro.
Fermo il principio sopra descritto, la giurisprudenza ha altresì precisato che il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è circostanza disciplinarmente irrilevante, e può giustificare la sanzione del licenziamento, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
Tali violazioni possono sussistere sia nell’ipotesi in cui la diversa attività accertata sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, sia quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura, alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore.
Per vedere se nel singolo caso si può lavorare durante la malattia assume peculiare rilievo l’eventuale violazione del dovere di osservare tutte le cautele, comprese quelle terapeutiche e di riposo prescritte dal medico, atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dalla malattia, affinché vengano ristabilite le condizioni di salute idonee per adempiere alla prestazione principale cui si è obbligati, evitando comportamenti che mettano in pericolo l’adempimento della prestazione lavorativa a causa della possibile o probabile protrazione dello stato di malattia.
La valutazione del giudice di merito, in ordine all’incidenza sulla guarigione dell’altra attività accertata, ha per oggetto il comportamento del dipendente nel momento in cui egli, pur essendo malato e (per tale causa) assente dal lavoro, svolge un’altra attività che può recare pregiudizio al rientro in servizio. Tale valutazione ha ad oggetto la potenzialità del pregiudizio, con la conseguenza che, ai fini di tale potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro ovvero la circostanza che l’attività sia resa a titolo gratuito od oneroso risultano irrilevanti.
Il datore di lavoro – avvalendosi di ogni mezzo di prova utilizzabile in giudizio per l’accertamento dei fatti – è tenuto a provare, in relazione alla contestazione disciplinare, o che la malattia era simulata ovvero che la diversa attività svolta dal dipendente fosse potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.
Il giudice sarà, quindi, chiamato a ricostruire i fatti con accurata indagine probatoria. In particolare, valuterà modalità, tempi e luoghi della diversa attività svolta dal dipendente in costanza di malattia, esaminerà le caratteristiche della patologia diagnosticata per certificare l’assenza per malattia e, infine, verificherà se da tali elementi scaturisca la prova che la malattia fosse fittizia ovvero che la condotta tenuta dal lavoratore fosse potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro al lavoro.
Nel caso di specie, attraverso una compiuta analisi dei documenti prodotti in giudizio dal datore di lavoro – tra cui la relazione investigativa che descriveva dettagliatamente le attività poste in essere dal lavoratore durante l’assenza per malattia – il Tribunale ha accertato che il comportamento tenuto dal dipendente avesse violato i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione contrattuale.
Ed infatti, analizzando i fatti risultanti dalla relazione investigativa, emergeva che il lavoratore aveva utilizzato – di sera, nel mese di novembre e, dunque, con temperature rigide – un monopattino elettrico per raggiungere il pub, aveva poi servito ai tavoli, preso le ordinazioni e si era trattenuto nel pub fino alle ore 23. Trattasi di comportamenti che – secondo la valutazione del giudice – dimostrano una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.

Mi chiamo Andrea Mannino e sono un avvocato specializzato in Diritto del Lavoro
Rivolgiti a me per qualunque problema legato alla sfera lavorativa.