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Licenziamento controllo mail

In questo articolo affrontiamo il caso di un licenziamento avvenuto in seguito a un controllo delle mail nel pc del dipendente (sul punto si veda anche un articolo nel nostro sito istituzionale, oppure su questo stesso sito). In particolare, secondo la cassazione n. 25977 del 16 novembre 2020, la condotta della società che consista nell’aver verificato il pc del dipendente che lo ha utilizzato per accedere al conto corrente di un terzo (nella specie, il marito della collega), riferendone il contenuto, rientra nella categoria dei c.d. “controlli difensivi” che, in quanto tali, esulano dall’ambito applicativo dell’art. 4, comma 2, L. 300/1970, nella versione ratione temporis applicabile prima della nuova formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 185/2016. Si tratta, infatti, di verifiche dirette ad accertare comportamenti lesivi dell’immagine aziendale e astrattamente costituenti reato, che sono state effettuate successivamente all’attuazione del comportamento addebitato al dipendente e, dunque, a prescindere dalla mera sorveglianza sull’esecuzione della prestazione.
Il licenziamento dopo il controllo mail del lavoratore, quindi, è possibile.

Il caso in esame era quello di un lavoratore che è stato licenziato per giusta causa per aver effettuato accessi non autorizzati sul conto corrente del marito di una collega.

La Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza resa in sede di opposizione, aveva rigettato il ricorso del lavoratore, ritenendo accertata la sussistenza degli addebiti contestati, la giusta causa di recesso e la proporzionalità della sanzione espulsiva. In particolare, con riferimento alla eccepita violazione dell’art. 4, L. 300/1970 (nella versione antecedente la nuova formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 185/2016), la Corte territoriale aveva ritenuto che, anche sotto il profilo formale, «il licenziamento doveva considerarsi legittimo in quanto è consentito al datore di lavoro verificare se i propri dipendenti utilizzino indebitamente gli strumenti messi a loro disposizione per fini esclusivamente personali».

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il lavoratore, contestando la decisione sotto vari profili. Nello specifico, per quanto qui di interesse, con il quinto motivo di ricorso il lavoratore lamentava la falsa applicazione dell’art. 4, L. 300/1970 (in vigore all’epoca dei fatti di causa, ai sensi del quale era vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori), per avere la Corte territoriale errato nel ritenere che il datore di lavoro sia tenuto a verificare l’uso esclusivamente professionale dei mezzi messi a disposizione dei propri dipendenti. La Suprema Corte ha ritenuto infondato il suddetto motivo di ricorso. Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, la condotta contestata al lavoratore era stata rilevata dalla società a seguito di una richiesta di chiarimenti da parte del titolare del conto corrente, sicché gli accertamenti effettuati dalla datrice di lavoro rientravano nella categoria dei c.d. “controlli difensivi”, che esulavano dall’ambito applicativo dell’art. 4, comma 2, L. 300/1970. Si trattava, infatti di «verifiche dirette ad accertare comportamenti illeciti e lesivi dell’immagine aziendale e costituenti, astrattamente, reato» (Cass. n. 2722/2012; Cass. n. 10955/2015). Il datore di lavoro, nel mettere in atto i controlli dopo l’accesso non autorizzato del dipendente al conto corrente del marito della collega, non aveva dunque leso in alcun modo la dignità e la riservatezza del dipendente, «atteso che non corrisponde ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore, in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con sanzione espulsiva, una tutela maggiore di quella riconosciuta a terzi estranei all’impresa» (Cass. n. 10636/2017). Inoltre, osservava la Suprema Corte, in base ad un accordo sindacale del 2014 volto a disciplinare le modalità di svolgimento dei controlli ex art. 4, L. 300/1970, la società era legittimata ad eseguire i controlli e ad utilizzare le informazioni estratte anche solo in presenza di indizi di reato, sussistenti nel caso di specie. Conclusivamente, il ricorso del lavoratore è stato respinto.

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