In caso di licenziamento illegittimo l’art. 18 dello statuto dei lavoratori prevede una serie di tutele, che vanno dalla reintegrazione sul posto di lavoro, oltre a un risarcimento del danno pari alle retribuzioni perse (con un massimo di 12) fino al solo risarcimento del danno da 12 a 24 mensilità. Per le imprese con un numero di dipendenti inferiori a 16, le regole sono invece diverse e prevedono il solo risarcimento del danno fino a un massimo di 6 mensilità.
In questo articolo ci interroghiamo se i danni da licenziamento siano solamente quelli indicati nella legge oppure se il lavoratore possa richiedere il risarcimento di danni ulteriori.
La norma di tutela del danno di licenziamento impartito senza giusta causa o giustificato motivo non esclude in effetti che il lavoratore possa subire un danno ulteriore alla professionalità, a condizione però che detti danni siano debitamente provati. In materia, va ricordato che la Corte di cassazione ha già riconosciuto che oltre alla reintegra nel posto di lavoro il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno sub specie di danno non patrimoniale ed in particolare di danno esistenziale. Il danno esistenziale, infatti, pur non integrando una autonoma categoria di pregiudizio, rientra nel danno non patrimoniale, la cui liquidazione è il risultato di una valutazione equitativa ed unitaria basata su tutte le circostanze del caso concreto.
Il caso
Parliamo di danni da licenziamento e risarcimento partendo da una vicenda del 2010 del settore logistico in cui un lavoratore subiva un danno da licenziamento con contestazione disciplinare fondata su una serie di furti asseritamente commessi dal lavoratore medesimo; ne scaturivano sia una controversia lavoristica, conseguente all’impugnazione del provvedimento espulsivo, sia una penale, avente per oggetto l’accertamento in ordine alla commissione o meno dei fatti denunciati.
Il lavoratore vinceva entrambe le cause nei giudizi di merito, venendo assolto in quella penale, e ottenendo, in quella lavoristica, sia il risarcimento dei danni per illegittimo licenziamento, sia i danni ulteriori conseguenti all’inottemperanza, da parte dell’ex datore di lavoro, dell’ordine giudiziale di reintegra, escludendo però infine i danni esistenziali e quelli morali richiesti dal lavoratore per licenziamento cosiddetto ingiurioso.
Nella medesima sentenza, la Corte d’Appello di Milano negava la domanda risarcitoria relativa al risarcimento del danno (ulteriore) alla professionalità, ritenendo che il medesimo fosse già assorbito nell’indennità risarcitoria stabilita dall’art. 18 st. lav.; rigettava altresì il danno morale da licenziamento ingiurioso, atteso che detta fattispecie sussume alla necessità di provare in modo rigoroso particolari forme di offensività connesse al recesso.
Il lavoratore ricorreva in cassazione, proprio sostenendo che i danni da licenziamento non potessero dirsi assorbiti nelle norme di legge.
La Corte ha affermato che il risarcimento da licenziamento previsto dall’art. 18 st. lav. persegue il vincolo di risarcire al lavoratore semplicemente le conseguenze dannose del licenziamento impartito senza giusta causa o giustificato motivo, senza che però ciò escluda la causazione in capo al lavoratore espulso di un danno ulteriore, accogliendo dunque l’argomentazione in diritto del ricorrente, a condizione però che detti danni siano debitamente provati, sicché il tema, da un piano ontologico / giuridico, si trasla ad un piano eminentemente probatorio.
Il lavoratore censurava inoltre in cassazione l’omessa pronuncia, da parte della Corte di Appello, in ordine alla domanda di risarcimento dei danni esistenziali (essendosi limitata l’impugnata sentenza a decidere sul risarcimento dei danni morali).
Dal punto di vista sostanziale, la S.C. ha ribadito l’esistenza di detta, distinta, voce di danno non patrimoniale suscettibile di conseguire, tra le altre, dall’irrogazione di un provvedimento di licenziamento illegittimo, purché rechi un «pregiudizio al fare areddituale determinante una modifica peggiorativa da cui consegue uno sconvolgimento dell’esistenza e in particolare delle abitudini di vita con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione, sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare», tale per cui, in presenza di situazioni sovrapponibili a quella di specie, spetta al giudice di merito il rigoroso esame circa l’eventuale lesione di situazioni giuridiche soggettive ulteriori a quelle (id est: diritti soggettivi patrimoniali di credito) immediatamente derivanti dalla illegittimità del licenziamento, dando conto dell’esistenza di situazioni autonome (benché eziologicamente connesse al fatto primigenio, in questo caso il licenziamento), provate con tutti i mezzi di prova possibili, in grado di riverberarsi sulla sfera privata della persona del lavoratore nel modo che si è osservato.
Questo motivo, così come il primo, venivano accolti dalla S.C. sulla base di tutte le argomentazioni che precedono.
Conclusione
Insomma, esistono danni da licenziamento risarcibili che esorbitano quelli previsti dalla normativa vigente e possono essere richiesti e ottenuti, purchè siano dimostrati sotto ogni profilo.

Mi chiamo Andrea Mannino e sono un avvocato specializzato in Diritto del Lavoro
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