E’ possibile il controllo del lavoratore tramite investigatore privato purché questo non sconfini nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria.
La corte di cassazione è intervenuta con la sentenza n. 15867/17 in tema di controllo del lavoratore tramite investigatore privato, chiarendo i requisiti di utilizzabilità in giudizio, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare del lavoratore, di informazioni reperite dal datore di lavoro per il tramite di investigatori privati. Nella fattispecie, un dipendente ricorreva per accertare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa, comminatogli a seguito di investigazioni private. Il datore di lavoro, infatti, ricorrendo ad un investigatore privato, aveva controllato il lavoratore contestandogli poi di non aver provveduto adeguatamente a visitare la clientela e di aver trascurato di tenere un costante monitoraggio dell’attività degli agenti.
Il Giudice di primo grado, come la Corte di appello, dichiaravano legittimo il licenziamento intimato al lavoratore controllato dall’investigatore privato.
Il dipendente ricorreva quindi in cassazione contestando la legittimità del licenziamento a fronte dell’uso illegittimo da parte del datore di lavoro di agenzie investigative. La suprema corte ha respinto in ricorso. Anzitutto, secondo la corte di cassazione, la corte di merito ha correttamente ritenuto attendibile la ricostruzione prospettata dal datore di lavoro, e ha precisato che il divieto per il datore di lavoro di controllare e far controllare l’esecuzione della prestazione lavorativa non trovi applicazione nelle ipotesi di anche solo eventuale realizzazione da parte dei dipendenti di comportamenti non consentiti, esulanti dalla normale attività lavorativa. Il controllo del lavoratore tramite investigatore privato, secondo la corte, è giustificato non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso d’esecuzione.